La comunità delle Suore Cappuccine di Madre Rubatto e la Direzione, insieme a tutto il personale, si uniscono con profondo dolore per la scomparsa di Monica Pegurri. Persona speciale, sempre disponibile e attenta, ha saputo creare legami autentici con ospiti e colleghi, lasciando un segno con il suo impegno e la sua dedizione. Nella fede, la affidiamo alla misericordia del Signore e ci stringiamo con affetto alla sua famiglia.
Le parole dei suoi colleghi e amici nell’articolo di Prima Bergamo.

Colleghi, amici e familiari si sono riuniti per i funerali della coordinatrice della Rsa San Francesco di Bergamo
L’ultimo saluto a Monica Pegurri, infermiera dal cuore grande
Lunedì 17 febbraio, si sono svolti a Nese i funerali della sessantaduenne Monica Pegurri, infermiera e coordinatrice della Rsa San Francesco di Bergamo.
Colleghi, amici, pazienti e parenti, erano tutti lì. Iniziò negli anni ’80 nel reparto chirurgico della Casa di Cura San Francesco, per poi dedicare anima e corpo alla Rsa. L’infermiera che vorrei
«Le persone la definiscono “umana”, e per noi questa parola racchiude tutto il bene possibile in un collega” – racconta Marco Brambilla, oggi coordinatore della Rsa -. Quando al funerale ho visto così tante persone di ogni reparto, ho capito quanto amore avesse seminato. Nel nostro lavoro dobbiamo sempre dare, ma lei, alla fine, ha anche ricevuto».
Michele D’Adda , giovane infermiere, aveva trovato in lei un’alleata: «Nonostante la sua esperienza trentennale, era sempre aperta al confronto con noi più giovani. E poi, non è scontato che chi indossa il camice sia anche una brava persona, ma Monica lo era davvero».
Una malattia inaspettata
«Ci portava le torte, a volte canticchiavamo insieme – racconta Cassaro Felice, OSS della struttura -. Ero con lei una delle prime volte che è caduta nei corridoi. Ci siamo messi a scherzare sulla sua sbadataggine, senza immaginare che fosse l’inizio di qualcosa di serio e che sarebbe durato solo qualche mese». Poi, la diagnosi: SLA. Nonostante tutto, Monica è rimasta lucida fino alla fine, come ha spiegato il dottor Paolo Zanoni, collega e amico da oltre trent ’anni. «Pensavo che la malattia avrebbe lasciato più tempo, invece, la sua progressione è stata rapidissima. Ma affrontare la sofferenza con la lucidità che ha avuto lei, non è da tutti. Lo dico sempre che era una grande».