L’intervento di Suor Rosangela ai primari della Casa di Cura San Francesco
“Buongiorno, grazie perché mi viene data l’opportunità di incontrarvi anche se non di presenza perché attualmente vivo in un piccolo villaggio dell’isola di Sumatra in Indonesia. Vedo volti conosciuti ed altri che conoscerò personalmente quando verrò a Bergamo. Vorrei brevemente raccontare la nascita dell’Istituto per il quale oggi state lavorando.
In gennaio di quest’anno la nostra congregazione ha compito 140 anni. La nascita della prima comunità e avvenuta in Loano, a pochi passa dalla nostra RSA attuale, la fondatrice di questo nuovo istituto è Suor Francesca Rubatto, donna di Carmagnola (To) che andava al mare a Loano per curare la sua salute e lì, a 40 anni, il Signore la chiama ad una nuova vita. Cosa faceva lei nella quotidianità? Viveva in Torino, dove era dedita al volontariato in diversi campi: con i malati al Cottolengo, secondo lo stile di S.Vincenzo de Paoli visitava i malati e i poveri nelle soffitte, seguiva i ragazzi negli oratori di don Bosco. L’ottocento, per Torino, era un’epoca di grandi Santi, Cottolengo, don Bosco, Murialdo, Faa di Bruno… E la nostra fondatrice ha sicuramente respirato quest’aria.
L’istituto fin dal suo nascere ha seguito la spiritualità francescana (perché colui che era stato lo strumento del Signore per chiamare alla vita religiosa Maria Francesca era un frate cappuccino). Nelle nostre costituzioni si legge che la nostra congregazione nasce nella Chiesa per servire con amore il Signore sommo bene e per offrire una speranza e una risposta alle povertà e alle sofferenze più radicali dell’uomo, si rende solidale con i poveri e con quanti si trovano in situazioni di maggiore necessità. Quindi attenzione costante ai bisogni spirituali e materiali dei poveri, ed è ciò che la fondatrice ha fatto da subito, seppure tra difficoltà, gelosie ecc.
Il suo desiderio di far conoscere il Signore l’ha spinta subito ad accettare la proposta di andare oltre i confini di Loano e dell’Italia, così nel 1892 parte per l’America Latina e precisamente per l’Uruguay con un gruppetto di suore, noi diremmo allo sbaraglio: senza sapere la lingua, senza preparazione particolare, ma con nel cuore il desiderio di portare l’amore del Signore e fidandosi della Provvidenza.
In Montevideo, le suore lavorano in ospedale, a direzione massonica, come infermiere. Poi da questo piccolo gruppo alcune si staccano e vanno in Argentina nell’ospedale di Rosario. In quell’epoca tanti italiani soprattutto piemontesi emigravano verso questi paesi per cercare lavoro, una vita migliore, e li lei ne trovò tanti che l’aiutarono anche ad inserirsi nella vita del paese.
Dopo pochi anni, la fondatrice accetta l’avventura di aprire una comunità nella foresta amazzonica in collaborazione con i frati cappuccini che già vivono là. Parte lei stessa da Montevideo con 7 giovani suore facendosi strada tra la vegetazione della foresta per arrivare alla nuova missione. Per due anni la vita sembra tranquilla, poi improvvisamente il 13 marzo 1901, un gruppo di indi irrompe nella missione ed uccide frati, suore e circa altre 200 persone che vivevano lì. Nel tempo, come suore Cappuccine abbiamo cercato di ritornare in quel posto, ma abbiamo dovuto rinunciare, perché ancora vivo l’eco della precedente vicenda. Adesso in marzo, un gruppo di nostre suore, sacerdoti ed altre persone hanno organizzato un viaggio in quel posto, ringraziando il Signore non è successo nulla. Non esiste più nulla, solo ruderi della nostra antica casa.
Nel tempo le suore anno aperto parecchie case in Argentina e Uruguay dedicandosi soprattutto all’insegnamento con l’apertura di collegi (oggi ne abbiamo ancora 11); in Brasile nella pastorale parrocchiale e scuola materna, in Perù con l’aiuto ai bambini e famiglie povere.
In Africa, oggi siamo presenti in Ethiopia, Eritrea, Kenya, Cameron e Malawi, nella pastorale parrocchiale, con scuole, ambulatori sanitari, orfanotrofio, centro per bambini non vedenti. Certo le situazioni politiche di questi paesi limitano molto l’espandersi del carisma ma le nostre sorelle non si arrendono! La visita alle famiglie povere, ai malati sono sempre possibili. Occorre portare speranza, pace, incoraggiare a fidarsi del Signore. E’ difficile per tutte le missioni il riuscire a mantenersi, ad essere autosufficienti anche per la quotidianità.
Da metà dello scorso anno stiamo intraprendendo l’avventura di entrare nella terra d’Asia e propriamente nell’isola di Sumatra, in Indonesia paese per l’87% mussulmano.
In Italia, culla di nascita dell’Istituto, il carisma si è espresso nell’attenzione ai malati e ai poveri nelle loro case, poi negli ospedali pubblici e nelle nostre opere quelle che oggi conoscete. In passato alcune nostre suore hanno lavorato anche in scuole materne nostre e di altri enti, nelle carceri, presso l’opera dei poveri dei frati cappuccini in Milano, nelle emergenze (guerre, terremoti)
Quali sono i valori che nel tempo come suore abbiamo sempre cercato di portare avanti? Innanzitutto, la cura della persona e la formazione vista sotto tanti aspetti.
La nostra scelta originale è legata alla centralità della persona più bisognosa, scelta che ci porta a valorizzare la dignità e l’originalità di ogni persona, con particolare attenzione alle fasce più deboli della popolazione, verso coloro che hanno patologie invalidanti, temporanee o croniche che si trovano nella necessità di avere bisogno anche di un supporto psicologico ed umano. Per restare collegati alla missione salute delle nostre strutture.
Oggi lavorare in sanità o nel socio sanitario per strutture come le nostre non è per niente facile, i finanziamenti regionali sono sempre insufficienti, con il crescere delle patologie croniche, date dall’innalzamento della prospettiva di vita, dalle patologie tumorali, dall’aumento vertiginoso dei costi di gestione, dalla concorrenza spietata di alcune strutture anche nel nostro territorio. Come continuare questo servizio nella società? Come già detto, mettendo al centro i bisogni delle persone che si affidano alle nostre/vostre cure per la salute, non con le belle parole che volano via, ma coi fatti: gentilezza, attenzione all’altro, infondere speranza, rispettare gli impegni, collaborare con i colleghi. Questi sono atteggiamenti personali, di qualità ed interni alla struttura. Però ci vuole altro per continuare a garantire un buon servizio, per una struttura delle dimensioni della nostra c’è oggi più che in passato, la necessità di essere collegati con altre strutture sanitarie del territorio. Da tempo stiamo cercando di intensificare i nostri rapporti soprattutto con l’ospedale Papa Giovanni (medicina, oncologia, senologia, ecc.) non è un percorso facile, ma necessario da continuare. Abbiamo anche fatto rete con l’Istituto Palazzolo per il servizio di Laboratorio Analisi.
Ognuno di voi è portatore di competenze per rispondere ai diversi bisogni di salute, noi ci aspettiamo che ogni responsabile sappia interpretare il suo ruolo in modo positivo e innovativo, quindi in grado di guardare al futuro e costruire un’offerta di servizi capace di rispondere ai bisogni. Le difficoltà ci fanno compagnia ogni giorno, ma non dobbiamo fermarci e piangere su di esse, ma farne motivo, stimolo per crescere.
Grazie per la vostra attenzione